ASSUNZIONI PILOTATE NELLA CANTINA "PRINCIPI DI BUTERA" DELLA DITTA ZONIN

Nella cantina vitivinicola i mafiosi di Riesi legati al clan Cammarata si sentivano a casa loro. E non solo perché qualcuno come Francesco Cammarata, uno dei tre fratelli ritenuto a capo dell'omonima cosca, lavorava al "Feudo Principi di Butera" peraltro con posizioni di vertice. «Dentro il Feudo i Cammarata organizzavano le feste...» ha svelato ieri il pentito riesino Calogero Barberi al processo contro i compaesani Giuseppe Cammarata, figlio del boss Pino, e Rosolino Li Vecchi, entrambi incriminati nell'inchiesta "Break" che due anni fa consentì ai carabinieri del Reparto operativo di arrestare quattro persone. Tutti erano accusati di avere imposto l'assunzione di operai stagionali nell'azienda di contrada Deliella del Gruppo Zonin. Gente non affiliata alla mafia, ma la cui assunzione sarebbe stata suggerita da personaggi vicini alla "famiglia". Questo, almeno, lo spaccato tracciato da Barberi prima e dal collaborante Giuseppe Tardanico dopo, sentito pure lui ieri al dibattimento.
«Ma i proprietari non sapevano nulla delle feste…», ha sottolineato Barberi al Tribunale (presieduto da Giacomo Montalbano, a latere Alessandra Vella e Giovanna Cervo) che sta processando i due imputati (difesi dagli avvocati Danilo Tipo e Antonio Impellizzeri) per estorsione aggravata dall'aver favorito Cosa Nostra. Il "Feudo" è parte civile con gli avvocati Giuseppe Panepinto e Enrico Ambrosetti.
Lo stesso Barberi, che come stagionale lavorò nella cantina così come il padre, in aula ha svelato un altro retroscena durante l'esame del Pm Nicolò Marino: «Sì, i Cammarata fecero anche riunioni lì - ha detto riferendosi sempre all'azienda -. Loro seppero che dovevamo essere arrestati…». E questa circostanza il pentito l'ha datata tra agosto e settembre del 2005, pochi mesi prima che il blitz "Odessa" di novembre decapitasse le cosche riesine. «Un giorno - dice Barberi raccontando il summit al Feudo - eravamo io, Giuseppe Cammarata e Massimo Amarù. Francesco Cammarata ci mise al corrente che c'era un certo Noto che lavorava lì e tramite un cugino seppe che c'erano delle ordinanze pronte. Lui ha cugini nelle forze dell'ordine…». Il pentito, e lo stesso ha fatto Tardanico, ha riferito di un accordo con gli allora responsabili della tenuta, Calogero e Lillo Rampanti, padre e figlio. Il primo, quando Zonin decise di investire in Sicilia, sarebbe stato il sensale per la cessione dei terreni. «Da Vincenzo Cammarata seppi che lui si prendeva lo stipendio anche se non lavorava né era assunto. L'azienda non sapeva a chi finisse lo stipendio. Alcuni mesi prima del mio arresto - ha aggiunto Barberi - Orazio Buonprincipio organizzò un incontro con Rampanti padre a cui disse di dare i soldi a me. Poi Rampanti venne con una busta e mi disse "questi sono gli stipendi per te"». Sul punto Tardanico, nella separata audizione, ha aggiunto altro: «Ci dovevano uscire tre stipendi. Oltre a quello di Vincenzo Cammarata che lavorava per il primo proprietario dell'azienda, un tale Zicari che aveva una concessionaria, anche per il fratello Franco e il nipote Giuseppe». Accusa e difesa hanno chiesto ai collaboranti di approfondire la questione legata alle sospette assunzioni pilotate. «Rampanti - ha detto Barberi - diceva a Zonin "mi servono 10 operai" e l'altro non guardava i nomi, per Zonin era indifferente chi lavorava, l'importante era che si lavorava. Rampanti decideva di assumere, faceva la proposta e poi andava da Francesco Cammarata e gli diceva di assumere. Rampanti non poteva dire a Cammarata "questi non li voglio". Era stabilito che a scegliere erano i Cammarata. Sì, Zonin era sotto estorsione…». E in proposito il collaboratore di giustizia ha chiarito ai giudici che la famiglia Zonin dava carta bianca sulla manodopera a periodo, ma non sull'assunzione di personale a tempo indeterminato. Ai posti da operai stagionali, invece, ambivano in tanti. «L'azienda - è andato avanti Barberi rispondendo alla domanda del penalista Tipo - decideva di assumere quelli di Riesi, su quelli di Butera non decidevano i Cammarata. Gli operai di Butera li indicava il sindaco, non so come si chiama, faceva il pediatra... lui aveva rapporti con Rampanti». Chi decideva che un operaio doveva lavorare al "Feudo Principi di Butera" per determinate giornate? «Francesco Cammarata - ha asserito il pentito - ma sempre se ce n'era bisogno…». Altro aspetto affrontato, l'assunzione dell'imputato Giuseppe Cammarata: lui lavorò per il Feudo dal '98 al 2002, prima in officina e poi nei campi fin quando lo licenziarono per scarso rendimento. «Non aveva un ruolo serio - ha riferito di lui Barberi - so che i Zonin o Rampanti non furono soddisfatti. Suo zio Francesco non l'ha fatto più scendere e Giuseppe non tentò di farsi riassumere. Sì - ha risposto il pentito alla domanda dell'avvocato Impellizzeri - seppi che per due anni restò disoccupato e poi aprì un panificio». Tardanico, invece, ha parlato dei dissidi tra Franco Cammarata e il nipote Giuseppe, dando un'altra versione. «Ci furono dissapori, arrivarono anche alle mani. Giuseppe non lavorò in azienda, ma lo stipendio gli arrivava ugualmente... dentro l'azienda - ha spaziato nella sua dichiarazione Tardanico - ci furono disguidi fra Francesco Cammarata e il figlio di Rampanti. Così io, su ordine di Franco, bruciai il casolare di campagna al Calogero Rampanti, perché il figlio non si comportava bene». Ma sulle ragioni dei contrasti, il pentito non ha saputo aggiungere altro. Ciascun collaborante ha fornito le riferito le proprie conoscenze sulle assunzioni nelle terre di Deliella degli operai Enzo Bordonaro, Salvatore Chiolo, Filippo Cosentino, Giovanni Di Prima, Giuseppe Iannì, Calogero Lombardo, Salvatore Pilato, Luigi Toscano, Davide Cutaia, Enzo Altovino, i fratelli Filippo, Sandro e Calogero Amedeo, Valentino Ciancio, Rocco Felice e Filippo D'Anna, quest'ultimo arrestato nel secondo filone d'inchiesta per avere scritto i "pizzini" con le minacce rivolte ai dirigenti della cantina. Lui ha già patteggiato la pena. «Iannì - ha detto Tardanico - è cognato di Carmelo Arlotta, che è vicino al clan e ha partecipato all'omicidio di Peppe Pasqualino. Cutaia lavorava con la moglie e abitavano nell'azienda. A lui lo raccomandò Peppe Cammarata che ne parlò al padre, erano compagni di scuola. Davide era uno di fiducia. I fratelli Amedeo furono assunti tramite Francesco Cammarata». Barberi ha parlato dei suoi familiari assunti: «Giuseppe Abate è mio cugino, a quel tempo c'era Giuseppe Cammarata. Glielo feci io il suo nome. Mio padre ha lavorato da Zonin, ne parlai a Rosolino Li Vecchi e mi disse "certo, è normale che deve scendere"…».